LE VITTIME DELLE RIVOLTE
NEL CARCERE DI MODENA
L’8 marzo 2020, a pochi giorni dall’inizio della pandemia, sono scoppiate violente rivolte all’interno di alcune carceri italiane. Il motivo di una reazione così inaspettata e veemente da parte dei detenuti è da ricercarsi nella iniziali difficoltà e titubanze legate alla gestione del contagio. Le autorità penitenziarie, prese alla sprovvista, hanno deciso di ricorrere a misure drastiche, chiudendo i detenuti all’interno delle celle, sospendendo il regime delle celle aperte, eliminando l’ora d’aria, interrompendo gli incontri con educatori e psicologi e soprattutto sospendendo i colloqui con i familiari. I detenuti si sono sentiti isolati e abbandonati sia all’interno che all’esterno delle mura, paralizzati e impotenti durante le prime fasi della gestione della pandemia.
Nel carcere Sant’Anna di Modena le rivolte sono state particolarmente violente. Oltre alla devastazione degli arredi, è stata riportata dalla stampa la notizia dell’assalto, da parte di alcuni detenuti, del deposito dei farmaci, dal quale sarebbero stati sottratti diversi prodotti, tra cui metadone e psicofarmaci, poi assunti da alcuni detenuti. La dose massiccia del medicinale avrebbe condotto a gravissime conseguenze, portando alla morte di ben 9 uomini.
Sedata la sommossa, il personale penitenziario ha cercato di normalizzare la situazione, decidendo di disperdere una gran parte dei detenuti riottosi, trasferendoli quella stessa notte in altri istituti di pena. Per alcuni di questi, però, si è trattato dell’ultimo viaggio.
Abdellah Rouan (Marocco, 29 gennaio 1986) è stato immediatamente trasferito verso il carcere di Asti. Già al momento della partenza le sue condizioni non erano buone: appariva in stato confusionale e palesemente alterato dall’abuso di sostanze.
È stato comunque caricato sul furgone, ma non è arrivato a destinazione. Il trasporto ha fatto tappa al penitenziario di Alessandria, dove Abdellah è stato fatto scendere in stato critico. Arrivata l’ambulanza e messi in moto i soccorsi, non c’è stato nulla da fare. Era ormai troppo tardi.
Artur Iuzu (Moldavia, 24 giugno 1988) è stato spedito al carcere di Parma, dove è arrivato alle 22 e 30. Alle ore 07:00 del giorno seguente è stato trovato privo di vita. Non è chiaro se il medico di turno abbia visitato il ragazzo prima di autorizzare il trasferimento.
Ghazi Hadidi (Tunisia, 7 marzo 1984) è stato fatto salire su un furgone blindato per essere trasferito presso la casa circondariale di Trento. Il trasferimento è stato disposto nonostante, visitato presso le tende allestite innanzi al carcere, sia stato visto barcollare vistosamente, sotto palese effetto di sostanze. La sua morte, a 36 anni, è stata certificata la mattina del 9 marzo davanti al carcere di Verona, dove il trasporto ha fatto tappa. La causa ufficiale della morte è overdose.
Hafedh Chouchane (Tunisia, 09 gennaio 1984) è morto nel carcere Sant’Anna di Modena l’otto marzo 2020, il giorno della rivolta, due settimane prima di uscire di prigione. La morte di Hafedh è stata certificata alle 20:20 dell’8 marzo dal medico del 118 che prestava soccorso ai detenuti nel “punto medico avanzato” allestito nella parte esterna del carcere. Quest’ultimo ha riferito che il corpo senza vita gli è stato portato su una rete da letto, quasi nudo, in mutande.
Salvatore Cuomo Piscitelli (Acerra, 10 gennaio 1980), subito dopo la rivolta è stato trasferito ad Ascoli Piceno. È giunto a destinazione poco dopo la mezzanotte del 9 marzo. Alle 2:30 è stato sottoposto alla visita medica di primo ingresso, e alle 3:00 ha raggiunto la cella.

Alle 13:20 non rispondeva più agli stimoli del personale di polizia penitenziaria. Alle 15:15 un’ambulanza lo ha portato all’ospedale cittadino. Alle 17:25 il medico del pronto soccorso ne ha constatato il decesso. E’ arrivato presso il carcere di Ascoli Piceno in evidente stato di alterazione da farmaci, tanto da non riuscire a camminare e da dover essere sorretto da altri detenuti. Ciononostante, non è stato condotto in ospedale, ma fatto accomodare in cella, dove ha perso la vita.
Ali Bakili (Tunisia, 11 giugno 1967) è morto a Modena. Dall’esame autoptico sarebbe emerso che allo stesso non è stato somministrato quanto necessario a contrastare l’overdose da metadone.
Lofti Ben Mesmia (Tunisia, 17 ottobre 1979) è deceduto nel carcere di Modena due giorni dopo i fatti, la mattina del 10 marzo. Non sono state approfondite le ragioni per cui non ne sia stato disposto il ricovero.
Della sorte di Bilel Methnani (Tunisia, 8 luglio 1983) e Slim Agrebi (Tunisia, 21 maggio 1979) non sappiamo ancora molto.
In molte di queste storie sono emerse testimonianze di violenze da parte della polizia penitenziaria. Le cause del decesso ufficiali sono tuttavia complicanze legate all’assunzione di medicinali e stupefacenti. Diversi addetti ai lavori hanno rivolto varie critiche alle modalità con cui sono state condotte le autopsie (si veda, ad esempio, l’inchiesta di Spotlight).
Al di là delle presunte violenze da parte della polizia, il cui accertamento è da svolgersi con tutte le cautele del caso (alcuni fascicoli di indagine sono ancora pendenti), il tema comune che lega molte delle morti è da ricercarsi nel tipo di soccorso prestato ai detenuti. Se i ragazzi si trovavano in stato avanzato di overdose, perché non sono stati condotti in ospedale?
Perché non sono stati tenuti in osservazione? Perché ne è stato disposto l’immediato trasferimento?
All’indomani dei fatti, la Procura di Modena ha aperto un fascicolo per omicidio colposo e morte come conseguenza di altro delitto. Le indagini si sono svolte formalmente contro ignoti. Terminate le attività degli inquirenti, la Procura ha richiesto l’archiviazione e il GIP l’ha confermata, motivando come segue: “alcuna responsabilità è ascrivibile in capo ai soggetti intervenuti nel corso del complesso iter procedimentale che conduceva, il 9 marzo 2021, alla definitiva cessazione dei tumulti”; i detenuti, scatenando la rivolta, avrebbero “interrotto il vincolo protettivo” in capo allo Stato. Il ragionamento giuridico del Giudice di Modena è ampiamente criticabile anche agli occhi di un non addetto ai lavori.
Le indagini avviate dalla Procura di Ascoli in relazione al caso di Salvatore Piscitelli si sono protratte più a lungo. Sono emersi, infatti, esposti da parte di altri detenuti che hanno denunciato la volontaria omissione di soccorso del personale carcerario. Ciononostante, anche la Procura di Ascoli ha richiesto l’archiviazione. L’Associazione Antigone sta combattendo assieme i propri legali per ottenere il rinvio a giudizio.
Molti analisti hanno criticato l’apparente superficialità con cui si sono svolte le indagini di Modena. In effetti, l’archiviazione appare abbastanza sbrigativa e sorretta da una motivazione molto breve e dal contenuto, come detto, passibile di varie critiche.
In attesa dell’esito della vicenda giudiziaria di Ascoli, varie associazioni sul territorio continuano a tenere alta l’attenzione sul caso, perché eventuali responsabilità non vengano insabbiate e, in definitiva, non si giunga mai più a una Santa Maria Capua Vetere.